Foto: Francesco PATACCHIOLA ©
(dal Corriere di Rieti – Paola Corradini) “Dopo 32 mesi di attesa ci aspettiamo che il commissario straordinario alla ricostruzione Piero Farabollini ci dia una risposta per superare l’incertezza. Siamo ancora a chiudere l’emergenza ma non si vede la ricostruzione e il commissario dovrà dirci come andare avanti”. Queste le parole del vescovo Domenico Pompili all’incontro “Vite sospese” promosso da Libera Rieti e dalla diocesi nella chiesa di San Domenico, che ha visto la presenza di don Luigi Ciotti. Una domanda chiara, come nello stile di Pompili, sulle tante, troppe vite ancora sospese in paesi distrutti dal sisma del 2016, che aspettano una rinascita che tarda ad arrivare.
“Ricostruire dov’era e com’era è un impresa al limite – ha detto il vescovo – Non è possibile pensare di tornare indietro riformattando, ma ricostruendo l’autentico e non l’identico. Qui si sta parlando di persone con il terremoto ancora nel cuore, ed è per questo che bisogna ripartire con risposte chiare”. Un obiettivo in vista del quale la Chiesa di Rieti sta portando avanti il progetto per il recupero del Don Minozzi, affinchè diventi un centro polifunzionale per la gente. Farabollini prova a dare una risposta sostenendo che “l’obiettivo è lavorare, ma dare una scadenza resta difficile sia al governo che agli uffici della ricostruzione. Un terremoto di magnitudo 6.2 non può causare tutti quei morti e attuando un sistema di prevenzione potremo convivere con tale fenomeno”. Il commissario cita la legge 189, “che sarà anche farraginosa, ma va garantita un ricostruzione che rispetti le norme antisismiche, per questo i tempi sono più lunghi”. Insomma, per Farabollini la ricostruzione deve ripartire e deve essere di qualità perché, dice, “non possiamo avere ancora morti sulla coscienza”.
Aspettare, però, due anni e mezzo dovendo ancora affrontare l’emergenza è difficile per chi in quei luoghi continua a vivere e a piangere i propri morti. Lo sa bene Mario Sanna, padre di Filippo, 23 anni, che ha perso la vita in quella notte d’agosto. “È stato un colpo al cuore – racconta sentire il commissario Farabollini dire che un terremoto di magnitudo 6.2 non può far cadere le case che a noi sono crollate addosso in 120 secondi. Se sono cadute qualcuno è responsabile, soprattutto chi doveva controllare che fossero a norma. Quando accadono simili tragedie lo Stato non può non essere responsabile. Ho presentato una denuncia – ha aggiunto rivolgendosi al procuratore capo Lina Cusano – perché qualcosa nel dopo sisma non è andato come doveva e le chiedo udienza per poterle parlare. I morti nella maggior parte dei casi erano ragazzi, erano il futuro”.
“È venuto il momento della ricostruzione e si deve guardare avanti per chi chiede tempi certi e azioni concrete – ha sottolineato il prefetto Giuseppina Reggiani -, per chi ha visto distrutti i luoghi di aggregazione e perso i propri cari”. Il procuratore Cusano, presente all’incontro, ha detto che ” per appurare le responsabilità è stato fatto un lavoro immane. Ora controlleremo sulla ricostruzione affinché, vista l’enorme disponibilità di denaro, nessuno possa speculare”. È don Ciotti a chiudere l’evento dopo aver abbracciato gli studenti arrivati da Amatrice: “Sono qui per mettermi umilmente nei vostri panni. Tutti abbiamo un debito di responsabilità con chi è morto, ma anche con chi è rimasto. La politica deve lavorare, altrimenti sono solo parole. Dobbiamo essere un pungolo per le istituzioni e impegnarci a costruire speranza a partire da chi non ce l’ha. Di fronte alle tragedie non basta commuoversi, bisogna muoversi. Dov’è la ricostruzione, dove è il commissario?” domanda, ma Farabollini è già andato via.