(di Antonio Bianco) Erano indirizzati soprattutto al mercato estero i mezzi rubati, anche a Rieti, dalla banda romana composta da nove elementi. A finire in carcere, per furto aggravato e riciclaggio, sette persone dell’hinterland della capitale, mentre altri due romeni sono ricercati dagli inquirenti, tutti con precedenti penali. L’attività di indagine, denominata “Bobcat” (leggi) e diretta dal sostituto procuratore Rocco Gustavo Maruotti, è stata avviata proprio dai Carabinieri del nucleo investigativo del capoluogo sabino e da quelli del Nor (sezione operativa della compagnia di Rieti) nel gennaio del 2017, a seguito del furto di un camion con rimorchio, di un bobcat e di tre escavatori di grosse dimensioni avvenuto presso una ditta di costruzioni della città capoluogo, per un valore complessivo di circa 150 mila euro.
METICOLOSI – La banda operava soprattutto nel centro Italia è stata individuata tramite le celle telefoniche. Un’operazione non facile visto che i componenti spegnevano i telefonini, proprio per non farsi intercettare, anche a 100 chilometri dal loro obiettivo. La banda una volta sul posto utilizzava un jammer per schermare i gps degli escavatori, dei bobcat e degli altri mezzi che la banda voleva portare via. I malviventi, poi, manomettevano la centralina dei mezzi per metterli in moto.
Il tutto mentre gli altri componenti della banda, a bordo delle loro autovetture, effettuavano una vigilanza discreta sulla zona, segnalando eventuali pericoli rappresentati anche da semplici veicoli in transito. Preparato così il mezzo, veniva fatto avvicinare il camion a bordo del quale questo veniva caricato e portato via: tutta l’operazione non durava mai più di 45/50 minuti. Durante il viaggio di ritorno, i componenti della banda erano soliti organizzare una vera e propria “staffetta” per segnalare la presenza di pattuglie delle forze dell’ordine lungo il tragitto.
SCORTA – Il camion con a bordo la refurtiva veniva fatto precedere da una delle due autovetture, mentre l’altra lo seguiva a debita distanza per intervenire in caso di necessità. Una volta al sicuro, entrava in scena un ottavo complice il quale si occupava di contraffare tutti i segni distintivi presenti sul mezzo asportato, alterandone le etichette presenti o applicandone di nuove, esatta riproduzione di quelle originarie.
E poi elaborando nuovi documenti cartacei completamente falsi attestanti la proprietà della macchina. A questo punto, il mezzo rubato risultava ad un controllo in banca dati del tutto“pulito” e quindi poteva tranquillamente essere portato all’estero per essere poi rivenduto. È quanto emerso dalla conferenza stampa di questa mattina tenuta dal colonnello dei carabinieri, Simone Sorrentino e dai capitani Michelangelo Piscitelli e Francesco Bagnolo.
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