Questa l’omelia del vescovo Domenico Pompili in occasione della liturgia di questa mattina per il Giugno Antoniano.
Natività di san Giovanni Battista
(Is 49,1-6; Sl 139; At 13,22-26; Lc 1,57-66.80)
“Dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome”. Il nome – nessuno si chiama da sé – dice che la vita non nasce da noi. E’ sempre una chiamata da parte di un Altro. Se si vuol annichilire un bambino basta dirgli che è venuto alla luce per caso. Figuriamoci sul piano dell’essere: se manca la chiamata siamo figli del nulla e andiamo verso il nulla. Per questo è decisivo che si riaccenda l’evidenza che la vita non nasce da sé, non ha sé come destino, ma appartiene a qualcosa di più grande, ed è questo qualcosa più grande che ci costituisce. Di qui nasce una gratitudine immensa per esserci. Se, al contrario, manca questa elementare consapevolezza si finisce per diventare pretenziosi e insoddisfatti. Al punto che oggi qualcuno sembra passare dal “Lei non sa chi sono io…” al ”Lei non sa che… sono dio!…”.
“Giovanni è il suo nome”. L’evangelista Luca si dilunga sugli episodi della nascita di Giovanni il Battista, stabilendo un preciso parallelo con i racconti dell’infanzia di Gesù. In particolare l’imposizione del nome: non quello scontato del padre, cioè Zaccaria, ma quello insolito di Giovanni che significa “Dio ha fatto grazia”. Giovanni, dunque, sta a dire che Dio entra nella vita di ognuno e la cambia. Come per Zaccaria ed Elisabetta che erano vecchi e sterili. Come per questo bambino che diventerà un profeta vigoroso fino alla morte per testimoniare Gesù Cristo. La vita è imprevedibile e non priva di conflitti perché chi si mette dalla parte di Dio entra in conflitto con chi lo nega e nega l’altro uomo. La grazia di Dio è sempre “a caro prezzo”, cioè è un dono che esige di spendersi e non di conservarsi. Proprio come il Battista che non esita a fare un passo indietro pur di far crescere il Maestro. Quello che manca a noi è la legge del paradosso: per crescere nella vita bisogna diminuire. Bisogna cioè che l’io si affini, ceda il passo, si apra all’incontro con l’altro, cioè si spenda e non si conservi.
“Che sarà mai questo bambino?”. La domanda tra il curioso e lo stupito è in fondo quella che dovrebbe sorgere spontanea di fronte all’esistenza. Lo stupore non basta però se non consente a ciascuno di diventare quello che si è per vocazione. Sant’Antonio che oggi festeggiamo in Città è cresciuto fino a diventare un riferimento per tanti: da Coimbra, passando per la Sicilia fino a Padova. Ma non è stato il suo un girovagare, ma “un fortificarsi nello spirito”, cioè un irrobustirsi interiormente dinanzi alle durezze della vita. Crescere coincide con questo invisibile sviluppo interiore che ci rende persone che non subiscono gli eventi, ma li orientano, a partire dalla fede che rende la vita un miracolo sempre nuovo e sorprendente.
Foto: Francesco PATACCHIOLA ©