Tutta vetrata, la Sala del Gusto di Amatrice di proprietà del Comune patrocinatore dell’evento, era un prisma di cristalli riflettenti luce e calore. E calore, affetto, sembrava irradiare da quelle polo gialle del Coro degli Alpini di Sappada, venuto dal Friuli apposta ad Amatrice per incontrare la comunità prima di andare a cantare a Città del Vaticano, nella Basilica di S. Pietro. Tutti sorridenti e composti, ben memori del dramma del sisma del Friuli, quindi solidali per la pelle.
Con il sostegno di Montura si è concluso il terzo evento, quello che annuncia l’estate tra le terre post sisma di Montagne in Movimento. I colori dei Monti della Laga sono accesi in questa stagione, tra lingue di neve ben distinte e abbaglianti. In questa calda accoglienza preparata dalla sezione locale del Cai, con la collaborazione del Cai di Antrodoco, si sono aperte delle riflessioni amare. Alla Vicepresidente della sezione locale Catia Clementi è stato chiesto come sta Amatrice e come stanno gli Amatriciani. Si sarebbe sottratta a quella insistente domanda, ma poi con dignità e semplicità ha detto le cose come stanno ribadendo che a loro non manca né tenacia né speranza.
La realtà è il movimento lento della macchina burocratica per ricostruire le case per la gente. Le macerie sono state ridotte a pezzettini e formano tumuli sul corso, sono visibili sono dall’alto grazie a dei muri che ne occultano la spettrale forma. Resta solo svettante la torre, isolata come unico baluardo di un fortino devastato. Le casette temporanee hanno fiori alla finestre ma non hanno camini. Per la gente di montagna i camini sono importanti nei lunghi inverni con la famiglia e gli amici. Nelle casette temporanee ovviamente non può essere previsto un camino. Amatrice era il borgo conosciuto per le 100 chiese. Nessuna è utilizzabile ora, si celebra la messa dentro un modulo d’emergenza, lì saranno le cresime e le comunioni. La nuova scuola dovrebbe essere pronta il prossimo anno.
La Casa della Montagna del Cai ha terminato il lungo iter burocratico per la modifica del piano regolatore ma ancora non è posta la prima pietra, tuttavia quel giorno si avvicina. Ma la ricostruzione è lontana. Sulla risonanza di questi pensieri che hanno commosso tutti, è stato interpretato in modo sommesso e struggente “Signore delle cime” da parte del Coro che si è esibito poi in un repertorio molto vario di brani, da quelli tradizionali di montagna a quelli popolari in lingua sappadina.
Poi è stata la volta di Domenico Perri, che di professione è psicologo ma dedica il tempo libero all’alpinismo. Calabrese, 64 anni, è socio del Cai di Antrodoco e ha al suo attivo numerose spedizioni in Europa e in altre parti del mondo. Perri ha saputo ben collegare questi due tempi così diversi della serata, la coralità di montagna e una chiacchierata sulla sua partecipazione alla spedizione alpinistica internazionale (unico italiano) di questo inverno all’Everest, tentata per la seconda volta dal fortissimo alpinista basco Alex Txikon.
L’obiettivo alpinistico di Perri era raggiungere il Campo base nel gelo, nel vento e quando non c’è nessun alpinista. Un obiettivo capitato per caso, ha dichiarato Perri, poiché la proposta che gli è stata rivolta dallo stesso Txikon era stata fatta di slancio, quasi una battuta, che invece poi si è tramutata in esperienza concreta. Da questo racconto di occasioni, incontri e casualità, è emersa la parte più interessante dell’esperienza alpinistica, quella personale, emotiva e psicologica che è stata condivisa con il pubblico che ha fatto poi domande. Domenico Perri lo ha chiarito bene: la vita offre strade, opportunità, occasioni e sa venirti incontro. Bisogna essere aperti e pronti a dire “Sì, se non ora quando?”. Così è stato per lui quando il forte alpinista basco gli ha proposto di seguirlo fino al Campo base dell’Everest. A fare cosa? A misurarsi. Bisogna rimparare ad essere consapevoli dei propri limiti, tenere a mente che ogni riuscita non dipende solo da noi ma da un insieme di fattori , fortune e casualità, soggettive e oggettive. Delle volte si è protagonisti, altre testimoni, altre sognatori, ma il proprio vissuto è ciò che è più difficile da raccontare perché ancora non lo abbiamo totalmente metabolizzato. Siamo troppo presi dagli ingranaggi del nostro quotidiano e dobbiamo cercare di più un angolo solitario per confessarci cosa abbiamo capito dalle esperienze forti. E cosa vogliamo per noi. (di Ines Millesimi)
Foto: Luigi Tassi ©