(di Maurizio Festuccia) Premetto che sono un assiduo spettatore-non-presente del Festival della Canzone Italiana, ma presentissimo di fronte alla tv, ormai da oltre trent’anni..
Ogni anno la stessa storia. Ne sento di tutti i colori, come, puntualmente accade, su Sanremo. E, come sempre, ricordo: “questo è se vi pare (e piace)”. Oltre ad apprezzare o meno le canzoni in gara, è bene sapere che a me questo appuntamento serve per molti altri motivi. C’è, come in ogni edizione, qualcosa da salvare e qualcosa da buttare. Ma è bello (ed interessante) capire il metro di giudizio di ognuno che mi contatta, mi avvicina, mi domanda…. Anche il parere di molti, soprattutto il parere di molti, è una preziosa cartina al tornasole che serve sempre conoscere.
Pertanto non starò qui ad incensare questo o quel cantante, questo o quel brano ma, nell’insieme vorrei si tenesse ben presente che questa canonica manifestazione è nata, 68 anni fa, per far conoscere al mondo la nostra musica, i nostri interpreti, e che negli anni è diventata sempre più una enorme vetrina promozionale esposta al mondo (che lo guarda, e con immenso interesse) dei nostri “prodotti” tipici non solamente relegati al mondo delle 7 note “Made in Italy”. Con Sanremo, abbiamo da sempre esportato l’immagine del Paese, del Bel Paese, delle nostre peculiarità che ci hanno permesso di farci apprezzare ovunque per la Moda, per il Turismo, per la professionalità nel settore “Spettacolo”, per il Glamour, oltre che per quello principale della canzone, della melodia tipica della nostra cultura.
Ed è da sempre che la canzone italiana registra, al mondo, un apprezzamento particolare associato alla creatività ed alla maestria nostrana di tipiche melodie di grande respiro e valore, sin dai tempi dei grandissimi compositori che hanno segnato la storia della musica: Antonio Vivaldi, Gioacchino Rossini, Gaetano Donizetti, Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini (nel suo libro “Gli Italiani” Luigi Barzini dichiara: “Non si può negare che l’Italia sia stata resa grande da tutti i suoi geni”.)
Secondo un vecchio detto, quello italiano sarebbe un popolo di “santi, eroi, poeti e navigatori”.
In effetti, come talvolta capita con i luoghi comuni, l’affermazione contiene un pizzico di verità, soprattutto se si considera un dato assolutamente peculiare del nostro popolo: la sua capacità, a dispetto di conflitti e catastrofi, di essere sempre all’avanguardia della creatività e dell’innovazione. Ma se aggiungessimo alla lista che siamo anche un popolo di “musicisti“, non diremmo certamente un’eresia.
Su questo principio affonda le sue radici il Festival dei Festival. Per cui non spetta a me dover esprimere un giudizio, se non prettamente “tecnico” ed “antropologico”, di quanto sta esprimendo l’appuntamento mediatico-canoro di questi giorni.
Chi conosce nel profondo i “meccanismi” del festival, sa che non ci si può limitare nel mero giudizio sui singoli brani, o su quello del cantante in sé. Il carrozzone è molto più vasto ed ampio del “semplice” palcoscenico visibile a tutti. Si dovrebbero tener presenti molte “variabili”, molti interessi trasversali, molte altre componenti “occulte” ai più, per decifrare una classifica e/o interrogarsi su questa enorme manifestazione. Ognuno, poi, ci veda quel che vuol vedere e ci senta quel che vuol sentire.
La mia disanima dovrebbe servire proprio a non limitare un giudizio solo sulla canzone ma sull’intero movimento che porta questo o quel brano, questo o quell’artista, a competere su quel palco. Per quel che si è sentito, mi soffermerei solo sulla media della caratura dei brani (li abbiamo ascoltati praticamente tutti), che ritengo più alta rispetto a quella delle scorse edizioni, sulla scelta artistica di Baglioni che merita senza meno un sincero plauso e sulla conduzione, decisamente meno abbottonata e canonica delle ultime edizioni, che risulta un po’ caotica, a volte “improvvisata” e meno “liturgica” del solito (non so se considerarlo un merito od un limite). Ma nessuno potrà mai togliermi dalla testa che le cose più interessanti vengono, come sempre, dai giovani in gara. Sono loro che hanno poco da perdere e che si mettono in gioco esclusivamente per far comprendere dove stia andando il proprio cammino e l’eventuale mercato del futuro, mentre i cosiddetti “Big” hanno altro da difendere, più che da proporre: il blasone, l’immagine, la propria credibilità verso un pubblico che, diversamente, potrebbe anche dimenticarsi di loro.
E qui nasce anche l’aspetto economico, personale, di ogni artista e del proprio entourage di lavoro, legato al Sanremo: oggi, è cosa risaputa, i dischi non si vendono più, mentre bisogna non perdere d’occhio l’unica fonte di guadagno che scaturisce in modo rilevante dalle serate che ognuno riuscirà ad assicurarsi anche grazie, e soprattutto, a questo appuntamento televisivo: la famosa “vetrina” dalla quale (ri)lanciare la propria rinnovata immagine e/o il proprio miglior “prodotto” da offrire per concerti e feste di piazza. Chi non è mai stato in questa settimana nella città di Sanremo forse non può comprendere quel che dico ma vi assicuro che durante le giornate del festival c’è un gran fermento di contatti trasversali tra la produzione dei vari artisti ed un numero sconsiderato di impresari, più o meno grandi, più o meno importanti, delle varie aree di competenza d’Italia.
Anche questo è il Festival della Canzone Italiana: un’enorme sorta di mostra campionaria annuale della canzone e degli artisti presenti, capace di far aumentare la mole del lavoro estivo a tanti operatori del settore. In un momento di profonda crisi discografica, vi garantisco, non è cosa di poco conto. In questi giorni a Sanremo si canta ovunque: nei bar, in mezzo strada, in pizzeria, nei locali, dai balconi, nei ristoranti, nelle sale-conferenza degli alberghi, in ogni angolo di strada, sui palchi improvvisati in piazze e piazzette, nei supermercati. Cantano tutti, tutti vogliono mettersi in mostra il più possibile in cerca di frammenti di attimi di gloria davanti alle telecamere di decine di tv private, ai microfoni di centinaia di radio locali, agli obiettivi di migliaia di fotoreporter. Tutto fa brodo: galline vecchie e giovani ram…polli. Tutti nello stesso pentolone mediatico dentro una città letteralmente impazzita che ribolle e rimbomba fino a notte fonda di suoni, balli e canti di ogni genere, come un carnevale senza soluzione di continuità
Vogliamo ancora parlare di chi mi è piaciuto di più o… sorvoliamo?
Sinceramente preferisco tenere per me questi… segreti (per quel tanto che possa contare il mio giudizio) ed ascoltare invece attentamente i vostri pareri, le vostre preferenze.
Mi interessano di più, molto di più.
Maurizio Festuccia
Foto: CdS ©