Gli occhi incollati agli schermi, i calli dovuti alle manopole, i mostri di fine livello e un altro gettone per continuare il gioco sognando di avere “Vite infinite”. Fari puntati sul “videogame” raccontato dal brillante autore sabino d’adozione Diego K. Pierini in un diario atipico, minuzioso e profondamente intimo che mescola impressioni, riflessioni, ricordi personali e molta ironia per parlare di uno dei più grandi fenomeni intergenerazionali dell’era moderna. Nato ad Ancona nel 1979, laureato in filosofia, da 15 anni vive a Poggio Mirteto e la sua carriera spazia di arte in arte, con una particolare attenzione a quella letteraria. Ha scritto d’intelligenza artificiale, culture digitali, musica e cinema. Ha alle spalle un lungo percorso nel settore televisivo, prima come autore di Parla con me, quindi a Voyager, The Show Must Go Off e Gazebo, con cui lavora tuttora, e collabora con Synthesis come traduttore freelance di videogiochi. Ha pubblicato un saggio sull’intelligenza artificiale, Noi, robot (Bandalarga, 2010) e una raccolta di racconti, SubLimen (Ensemble, 2012).
Diego, qual è il tuo legame attuale con Rieti e la Sabina?
Sono arrivato alle porte della Sabina in modo pressoché casuale, per ragioni di lavoro, circa quindici anni fa. Al momento di scegliere se avvicinarmi a Roma o addentrarmi in essa, ho optato per la seconda. Non particolarmente attratto dagli eccessi della metropoli, ho trovato in Sabina un ambiente naturale magnifico, un comparto enogastronomico (pure troppo, mi dicono dei bollettini in arrivo dagli organi interni) seducente, una realtà culturale stimolante, contro lo stereotipo classico della zona rurale: molte attività, associazioni locali combattive, popolazione ricettiva. Incontri il tizio che scende dalla mietitrebbia e ha le mani a forma di badile, ti aspetteresti una sequenza di suoni gutturali, invece ti cita Kafka e ascolta Frank Gambale. Non potevo non rimanere.
Una carriera eclettica la tua, che ha toccato varie forme d’arte e di comunicazione: dalla tv alla musica, dalla radio al cinema, dalla scrittura alla comunicazione pubblicitaria. Quale di queste attività senti più tua e perché?
Lo ripeto spesso: dato che non so fare nulla veramente bene, provo a fare tutto. Un po’ come i cosiddetti ‘calciatori di quantità’. Sento mia, in primis, la necessità di elaborare le sostanze che ho a disposizione e sperimentare con esse: un po’ come il piccolo chimico, ma senza dare fuoco alle tende del salotto. Credo che alla base di tutto ci sia in primis una spinta alla verbalizzazione – fino al punto che uso il mio corpo come luogo di tatuaggi esclusivamente alfanumerici – quindi forse scrivere è l’attività che sento più mia. Tutto il resto è una trasformazione di una scrittura in altro media. Tutte le mie esperienze sono un processo di ‘conversione’, per dirla col linguaggio dei videogame.
Vite infinite, il tuo ultimo lavoro, come è stato accolto?
Probabilmente è troppo presto per tracciare un bilancio, il libro è uscito da poco e i tempi estivi sono sempre piuttosto dilatati, ma finora non ho ricevuto buste di antrace o teste di cavallo. E il pubblico di settore sembra reagire bene. Specie considerando che dopo due saggi e due libri di narrativa, stavolta la sfida era più ardua: mescolare il contenuto storico e analitico a uno stile strettamente pop che si spingesse più in direzione del racconto che dell’analisi. Anche perché di analisi pure, canoniche, ne hanno già proposte molte firme ben più autorevoli di me. Per avere un primo vero polso della situazione, però, credo sarà cruciale l’evento romano del 14 settembre al Monk (alle 19.30): lì capirò meglio la ricezione del tema da parte del pubblico più generalista. Ho già fatto installare le reti metalliche contro gli ortaggi, come in “Blues Brothers”.
È un libro scandito sui tuoi ricordi e al centro ci sono i videogamer, più che i videogame. Perché hai fatto questa scelta?
Il testo tutto sommato vede i due soggetti in equilibrio paritario: rivolgere agli esperti di videogames una nuova disamina sul tema mi pareva inutile, mentre mi premeva molto di più offrire un affresco più emozionale che andasse a rievocare, in chiave nostalgica ma anche decisamente ironica, l’epopea ipersatura ed entusiasmante di quei figli estetici degli anni 80 la cui psiche è rimasta tragicamente corrotta dalle ore spese tra mondi fantastici e manipolazione onanistica del proprio joystick (ma anche da Drive In e Automan). Qualcuno doveva pur spiegare la sociopatia e il decremento della vista da cui è affetta l’ultima generazione analogica. Ciò detto, parlare del mondo dei videogiochi, più che dell’oggetto videogioco, è un escamotage per toccare argomenti molto più vari, dalla sottocultura musicale al cinema, dal rapporto con le riviste alle relazioni umane.
Qual è stato il giudizio o la recensione che ti ha fatto più piacere ricevere?
Le recensioni cominciano pian piano a comparire, specie sul web. Senza dubbio sono stato estremamente lusingato dallo spazio abbondante che un nome storico del giornalismo videoludico come Bonaventura Di Bello ha deciso di dedicare a “Vite infinite” sul suo blog personale: la sua analisi ricca e articolata ha messo in luce aspetti cui tenevo molto, e mi ha pure fatto notare di aver scritto cose che neanche sapevo di sapere. Un paradosso socratico, e con Socrate non si scherza. Un po’ come con Gundam.
Rivolgiamo un breve sguardo al futuro dei videogiochi e all’impatto nella vita dei ragazzi. Quale contributo dà una passione come questa oggi?
Nel momento in cui mi chiedi una considerazione del genere e specifichi ‘breve’, mi ricordo subito il mantra genitoriale del ‘corri ma non sudare’! L’impatto sui ragazzi di oggi è a mio avviso quello di ogni attività ludica: positivo, se ammortizzato da una cultura familiare, scolastica, ecc., capace di offrire necessari strumenti di lettura. Anche il karate è una disciplina positiva, certo se ti allena il villain di “Karate Kid” un po’ meno. Si è perso molto in termini di acquisizione di pattern e pensiero matematico, propri dei vecchi giochi, si è guadagnato sul piano di affezione per le narrazioni, perché il gioco sta cambiando in direzione della realtà alternativa. Semmai, va notato che il pubblico non è più fatto di ragazzi, ma è intergenerazionale come mai prima. Sul futuro del videogame: siamo in un punto di stallo tecnico e di ricerca di nuove vie, questo capita normalmente all’alba di un nuovo ‘salto di paradigma’. La due grandi tendenze sono la realtà virtuale e la trasformazione del gioco in ‘servizio’.
Se dovessi riassumere l’evoluzione che questo settore ha avuto negli ultimi 30 anni, fino ad oggi, pensi che l’aumento delle potenzialità tecnologiche sia andato di pari passo con l’incremento del piacere nel gioco?
Cambia il tipo di piacere: la soddisfazione di aver ‘battuto la macchina’ è forse inferiore (perché l’I.A. è evoluta fino al punto di non percepire più differenza così profonda con l’umano, durante il gioco), così come la sensazione aliena di trovarsi di fronte a qualcosa di totalmente nuovo – le lucine colorate e i suoni roboanti ci attraggono irrimediabilmente come falene, a noi umani. Ma oggi ci sono mondi da esplorare, ambienti avvolgenti, l’estensione potenzialmente infinita data da multiplayer e gioco online. Tengo alto il doppio vessillo della nostalgia e della fascinazione per le tecnologie d’avanguardia. Se si ha una quantità sufficiente di aspirine e antiacidi, è un conflitto esistenziale divertente.
Progetti a cui stai già lavorando o a cui pensi di dedicarti in futuro?
Ora sono molto impegnato con la ripresa del programma per cui lavoro – si chiamava Gazebo su Raitre, avrà un nuovo titolo su La7 – e con l’editing di alcuni video musicali realizzati per un paio di band locali, oltre ovviamente alla promozione di “Vite infinite”. Sul piano strettamente editoriale, sto riflettendo su un altro romanzo di forte stampo grottesco che dovrebbe riprendere la traccia del precedente “Overdrive”, ma potrebbe anche essere il turno della graphic novel, con un progetto gothic/noir in stand by da molti anni che potrebbe essere il momento di portare finalmente a termine. Oppure continuerò semplicemente a guardare video di gattini su YouTube.
Foto: S. Mariantoni ©