(da corriere.it) Era un collaboratore di giustizia ma faceva la vita di un uomo libero. Era sorvegliato ma, in spregiudicata autonomia, continuava a curare gli affari delle cosche. C.B., tra gli esponenti autorevoli della cosca di Barcellona Pozzo Dal Gotto, inserito in un programma di protezione, era riuscito a farsi dare un mano anche dai due carabinieri che gli facevano da scorta: E.A. e D.P..I due, in sostanza, si erano prestati a monitorare un imprenditore organico alle cosche (M.T.) con accessi abusivi al sistema informatico del comando provinciale dei carabinieri di Rieti. Scrive la giudice per le indagini preliminari, Chiara Gallo, che i tre «avevano trasformato i benefici e le garanzie di cui gode un collaboratore di giustizia in occasioni criminogene consentendo a B. di proseguire nel proprio percorso criminale nonostante le limitazioni».
FIDUCIA Muti davanti alle pretese del pentito e sordi di fronte al passaggio di consegne e d’informazioni che questi riversava ad altri affiliati: i carabinieri si erano guadagnata la sua fiducia. Anziché rispettare il codice di comportamento che impone una distanza fra sé e la persona da tutelare, A. e P. si prestavano a spalleggiarlo, evitando di intromettersi durante conversazioni sospette, incontri riservati e missioni dubbie. Ma soprattutto fornendogli informazioni riservate. «Dalle intercettazioni emergeva — si legge — come B. godesse di assoluta libertà di movimento in ragione dei rapporti particolarmente confidenziali intrattenuti con i componenti della scorta». Se i carabinieri l’abbiano fatto per soldi o altri favori, non è ancora chiaro mentre si sa che ad aiutarli si sarebbe prestato anche un terzo collega, ora indagato, D.T.. Lunedì prossimo l’interrogatorio a Rebibbia del pm Maurizio Arcuri.
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