La nostra Sabrina Vecchi ha redatto il libro “Gocce di memoria” in cui raccoglie le biografie delle persone rimaste vittima del sisma del 24 agosto.
Quando il vescovo Domenico mi ha chiesto di occuparmi di questo memoriale mi sono sentita fiera di essere stata scelta da una persona come lui per un incarico così delicato. Era l’inizio del mese di novembre, ho impiegato due mesi pieni per rintracciare le storie e le vite di tutte le vittime del 24 agosto: è stato un lavoro intenso sia materialmente che emotivamente, sia io che il vescovo abbiamo voluto con tenacia che di tutte le persone cadute quella tragica notte rimanesse una traccia scritta, anche un accenno, qualcosa della loro storia terrena.
Partendo dalle liste della Prefettura di Rieti, utilizzando il web e tramite serrate ricerche sui luoghi interessati dal terremoto ho iniziato a ricomporre i nuclei familiari, qualche coppia, i commercianti. Il macellaio, il barbiere, il fornaio, tutti sapevano di loro e delle loro famiglie. Ma tanti nomi rimanevano ancora tali, senza nulla di più. Pian piano ho cercato le associazioni delle frazioni di Accumoli ed Amatrice, i parroci, i dipendenti comunali, gli esercenti di qualche chiosco miracolosamente rimasto in attività… e sono arrivati i recapiti diretti dei parenti. Avevano perso tutto. E tutti.
Non sapevo come chiedere ad un padre che ha perso entrambi i suoi bambini di dirmi qualcosa di loro, dei loro giochi, di come andavano a scuola… così ho provato a metterci il cuore, ho chiamato ed abbiamo pianto insieme, poi ci siamo risentiti ed abbiamo pianto di nuovo. Non scorderò mai i genitori che si rimproveravano di non aver comprato al proprio bimbo “come ultimo regalo quel pacchetto di patatine”, i figli che nell’ultima telefonata con i genitori hanno avvertito “qualcosa di strano nella voce, magari aveva bisogno di me”, come non dimenticherò l’anziana signora che non si dava pace per non aver invitato il marito a sgranare il rosario in cucina con lei in piena notte: “Se fosse venuto in cucina a fare il rosario con me, la camera non gli sarebbe crollata addosso”.
Tutto iniziava a prendere forma, i racconti dei soccorritori e dei sanitari dell’ospedale di Rieti mi aiutavano a capire come fossero composti i nuclei familiari, il titolare del Bar Rinascimento di Amatrice si era abituato a vedermi stazionare nel suo locale con il foglio dei nomi in mano. “Quel signore lì ti può aiutare”, mi disse. Mi avvicinai ad un uomo esile e silenzioso con una giacca da cacciatore, pensando fosse un conoscente di qualche vittima. Mi disse a bruciapelo che aveva perso l’unico figlio di 29 anni e la moglie, che era spirata nel letto accanto a lui dopo averlo supplicato di aiutarla, e lui, immobilizzato dai muri caduti, non aveva potuto farlo. Ebbi un fremito. Non sapevo cosa dire, non ero pronta. Fu lui che mi abbracciò dicendomi di non preoccuparmi e mi chiese se volevo un caffè. Quel caffè con Sergio ha un sapore che non dimenticherò mai: il sapore della dignità e del coraggio. Un capitolo a parte va speso per i defunti di Roma e provincia, trovati quasi tutti tramite associazioni, albi professionali, club calcistici che hanno pubblicato sulle proprie pagine social i necrologi dei loro amici.
Una grossa mano hanno dato anche i giornali del litorale laziale, i sindaci, le scuole: ricordo il preside del Liceo Gullace di Roma che ha tracciato la figura di Lamberto e sua moglie, periti in vacanza ad Amatrice, l’Associazione Nazionale Trapiantati che ha ricordato Fabrizio, il loro informatico, e poi i compagni di scuola di Sergio, quelli di Erika, e di molti altri. Infine , l’idea di cercare informazioni tramite le automobili trasportate nelle carrozzerie di Rieti… anche quei pezzi di ferro acciaccati ed i loro documenti raccontavano la vita di tanti. Intanto i parenti mi cercavano, volevano che fosse inserito nel libricino un particolare del carattere, un dettaglio, un aggettivo adatto ai loro cari. Quante lacrime.
Ultime, quelle della signora Anna che aveva perso mamma e zia, le due persone che mi mancavano per terminare il lavoro. Tramite l’anagrafe di Roma avevo trovato solamente l’indirizzo di Roma, ma nessun numero di telefono. Ho chiamato i vicini, gli esercizi commerciali del quartieri adiacenti al suo civico, ed alla sera la signora Anna si è ritrovata con una decina di sconosciuti sotto casa che le citofonavano pregandola di contattarmi. Quando mi ha chiamata, mentre mi scusavo “dell’invasione” è esplosa in un pianto dirotto: “Signorina non so cosa vogliate fare delle storie di mamma e zia, ma solo il fatto che io sia stata ricercata con tanta tenacia mi basta a sentirmi amata e non dimenticata”. Poi, a ridosso della presentazione del libro, molti dei parenti mi hanno mandato messaggi affettuosi facendomi l’in bocca al lupo e a Torrita li ho finalmente conosciuti. È stato forte. Ma in assoluto, una delle esperienze più formative della mia vita. E dire che all’inizio pensavo che il vescovo mi avesse affidato un onere… invece era un onore. Foto: Francesco PATACCHIOLA ©