Pubblichiamo l’omelia del vescovo Domenico Pompili per per la chiusura diocesana dell’Anno Santo
XXXIII per annum (Chiusura della porta santa)
( Mal 3,19-20a; Sl 98; 2Ts 3,7-12; Lc 21, 5-19)
“E vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze…”. Le parole del Maestro nella versione lucana prendono spunto ex post dalla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. Sono molto severe e rischiano oggi – dopo il 24 agosto e il 30 ottobre – di alimentare la ‘nostra’ paura. La terra trema ad ogni istante sotto i nostri piedi. E siamo diventati sensibili ad ogni fruscio sospetto, ad ogni rumore nella notte, ad ogni passo eccitato. Occorre perciò distinguere il linguaggio dal suo significato. Il tono è apocalittico e indulge ad un certo catastrofismo che ci verrebbe da assecondare. Ma il messaggio non concede nulla ai profeti di sventura. Infatti aggiunge lesto Gesù: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà”. Questo è il fuoco del vangelo di oggi. Come lasciano intendere le parole del salmo: “I fiumi battano le mani,/ esultino le montagne./Esultino davanti al Signore che viene”. Sì, il Signore viene sempre, anche in questo tempo di dolore e di lutti, di incertezza e di angoscia che si legge negli occhi smarriti dei bambini e degli anziani. La porta che oggi idealmente si chiude in questa tenda non significa, dunque, la fine, ma richiama il fine che è quello di lasciarsi incontrare da Dio in Gesù Cristo. A prescindere dalle condizioni avverse, sempre mutevoli e in divenire.
Ciò richiede una fede più difficile. Si fa presto a ‘credere di credere’, ma è diverso quando siamo sotto scacco. Ciò nonostante la via da seguire non è il sogno e la fuga, ma la quotidianità. La perseveranza di cui si parla non ha nulla di eroico, ma solo di concreto. Per dirla con Malachia siamo “cultori del nome di Dio” quando non ci mettiamo con le braccia conserte in attesa che passi, ma facciamo come tanti genitori che si ingegnano di riprendere il corso delle cose, rassicurando i più piccoli. Questo suggerisce anche la parola dell’Apostolo: “guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità”. Ciò significa evitare di sdraiarsi, ma resistere nella prova. E così dalle macerie ‘si scavano’ a mani nude alcune cose che avevamo dimenticato. Vivere vale più delle cose della vita. Si torna dunque all’essenziale. Le relazioni vengono prima degli interessi. Gli altri perciò sono necessari, prima che un problema. Dio è l’ancora di salvezza e non il nostro io. E va cercato nell’oggi.
Si chiude una porta e… si spalanca un portone. Quello della nostra ‘sofferenza’ che è gravida di futuro. Come dice D. Bonhoeffer nella sua terza stazione verso la libertà: ”Straordinaria trasformazione. Le tue forti, attive mani sono legate. Impotente, solo, vedi la fine della tua azione. Ma prendi fiato, e ciò che è giusto poni silenzioso e consolato, in mani più forti, e sei contento. Solo un istante attingi beato la felicità e poi la consegni a Dio, che le dia splendido compimento”.
(Introduzione alla messa nella tensostruttura)
Lo porta della nostra Cattedrale è rimasta aperta dallo scorso 13 dicembre fino al 30 ottobre. Dopo l’ultima e impressionante scossa. Oggi soltanto ‘si chiude’ in questa tenda allestita per l’occasione l’Anno santo della misericordia, indetto da papa Francesco che ci ha visitati lo scorso 4 ottobre ad Amatrice, Borbona ed Accumoli. Da qui dobbiamo partire se non vogliamo intendere la chiusura come un fallimento come indurrebbe a ritenere il persistere dello sciame sismico. In realtà si chiude la porta, ma non davanti a noi, ma soltanto dietro di noi. Se la porta è Cristo, aver attraversato la porta, spinge semmai ad uscire verso il mondo che sta davanti a noi. Usciamo con Lui verso il mondo che è il campo che ci attende. Lasciamoci spingere dalla porta che si chiude e ci fa entrare nel nuovo tempo che Dio ci dona con questa elementare certezza: Dio è con noi, oggi e sempre. E ogni giorno sempre di nuovo. “C’è buio in me, in te invece c’è luce; sono solo, ma non tu non m’abbandoni, non ho coraggio, ma tu sei di aiuto; sono inquieto, ma in te c’è la pace; c’è amarezza in me, in te c’è pazienza, non capisco le tue vie, ma tu sai qual è la mia strada” (D. Bonhoeffer).
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