“Il mio bar di Grisciano è agibile ma sono costretta a tenerlo chiuso” / La storia

Agata e il terremoto. Agata e una vita, generazione dopo generazione, dedicata al bar e alla gente di Grisciano, una delle frazioni di Accumoli colpite dal sisma del 24 agosto scorso. “Ho ‘sposato’ più giovani di Grisciano e dintorni di chiunque altro – riesce nonostante tutto a ironizzare, Agata Fidanza, 55 anni –. Il mio bar ‘Pinguino’ è da sempre un luogo di aggregazione, in questo momento in cui siamo disperati, l’unico. Peccato che nonostante sia agibile (la struttura di legno ha tenuto perfettamente, ndr) mi abbiano costretta a chiuderlo – denuncia -. Un danno per me e per l’intera comunità”.

La notte del 24 agosto, Agata, come tutti gli abitanti della zona, è stata svegliata dal “mostro”, il terremoto di magnitudo 6.0 che ha colpito l’Italia centrale, provocando la morte di 290 persone, 240 delle quali tra Amatrice e Accumoli.

“Per fortuna la mia famiglia non ha avuto vittime, ma la mia casa è inagibile e da allora dormiamo in tenda – racconta -. A non aver subito danni, se non bottiglie e bicchieri rotti, è stato il mio bar, che è stato costruito in legno alla fine degli anni ’80 e gode di un parcheggio e uno spazio esterno molto ampio, tanto che ora l’ho messo a disposizione della Croce Rossa”.

Il ‘Pinguino’ sembra una grande baita, con tanto di biliardino, ping pong e tavoli nel cortile. Più che un bar, da sempre è un centro di aggregazione, assicura chi lo conosce. Tanto che è qui che si è organizzato il primo pranzo dopo il terremoto. “La mattina, dopo che ci eravamo contati tutti – ricorda Agata – abbiamo preparato 150 pasti, praticamente per l’intera frazione. Noi abbiamo messo la pasta, chi il sugo, chi il resto. Giravamo per il paese con una carriola distribuendo pasta al ragù”.

Ma se nei giorni dell’emergenza il ‘Pinguino’ non si è mai fermato, da pochi giorni è chiuso. “L’hanno transennato nottetempo – spiega Agata – mi hanno avvertito all’una di notte, per via del palazzo accanto, pericolante. E’ assurdo – denuncia – preferiscono chiudere l’unico bar aperto (l’altro è sotto le macerie), piuttosto che mettere in sicurezza un palazzo”.

E se da un lato ci sono i tempi tecnici e le lungaggini burocratiche, dall’altro c’è una donna che nella vita “non ha fatto altro che lavorare e far svagare le persone”. “Per quel che mi riguarda, il danno è più morale che economico. Io sono abituata a lavorare 14 ore al giorno e senza fare niente non ci so proprio stare – conclude Agata – ma non è solo per me: in questo momento siamo un paese di disperati che ha bisogno di normalità”. (di Anna Maria Selini – Cna Storie)

Foto: CNA ©

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