(di Valerio Vecchiarelli – Corriere della Sera Roma, 26 agosto 2016) La scossa lo ha svegliato in piena notte nella sua casa di Limiti di Greccio, in collina, pochi chilometri da Rieti sulla Provinciale per Terni: «Ci siamo alzati tutti in famiglia, poi ho pensato che potevamo tornare a dormire. Però qualcosa non mi convinceva…». E così Mauro D’Angeli, 51 anni, vigile del fuoco romano cresciuto tra Torre Spaccata e Cinecittà, che da trent’anni ha scelto di vivere a Rieti per amore della provincia e della sua verde campagna, ha acceso il computer e ha capito subito: «Ero libero dal turno, ma non ho aspettato una chiamata della caserma. Ho messo la divisa e sono partito, dopo 10 minuti ero al Comando e già c’era un collega che doveva essere in ferie e invece aveva avuto la mia stessa sensazione. Alla fine noi del turno libero eravamo in 5, non abbiamo atteso ordini e siamo partiti con il buio verso Amatrice».
Una vita passata tra macerie e alluvioni in prima linea, quando serviva Mauro è sempre partito per dare una mano: «Ma qui era a casa nostra, la nostra terra, i nostri amici, non c’erano missioni da organizzare o turni da rispettare».
Appena arrivata ad Amatrice la squadra improvvisata ha preso una decisione: «Del mio Comando sul posto eravamo due squadre, la prima dei colleghi in turno e noi. Quando abbiamo visto l’apocalisse abbiamo deciso di dividerci e così noi siamo diventati 5 squadre individuali: un Vigile del Fuoco a capo e tantissima gente di buona volontà a collaborare con lui».
Un giorno intero a scavare, a cercare di sentire voci che arrivano dal nulla, a scegliere come, dove e chi provare a salvare, prima della scena che ha fatto il giro del mondo, con Mauro che esce dal buco di cemento e distruzione con Giulia in braccio: «Ero stato tutto il pomeriggio di fronte a un forno seppellito sotto due piani di casa per far uscire il panettiere che era andato al lavoro di notte a preparare il pane ed era stato sorpreso dal disastro. Un lavoro difficile, era incastrato tra frigorifero e impastatrice, ma alla fine ce l’avevamo fatta a portarlo in salvo. Subito dopo mi chiamano, mi fanno parlare con un uomo che è sotto shock e mi dice che sotto ciò che rimane di casa sua ci sono ancora la moglie e i suoi due bambini. Lì sono l’unico Vigile del Fuoco che può, o sa, come muoversi; in quel momento smetti di sentire le voci di chi ti sta intorno, non sai più che ore sono o da quanto tempo stai a spostare macerie, cancelli le emozioni e ti concentri solo sul fatto che da qualche parte c’è una vita nelle tue mani».
Scende la sera, i volontari urlano, si affannano, chiamano. Mauro D’Angeli sembra un alieno, fuori dal tempo e dalla logica, non sente e non vede: «Le parlavo con calma, le chiedevo di non muoversi, di respirare profondamente per capire se avesse il torace libero, guardavo in quel buco per arrivare a vedere cosa le stesse bloccando i piedi. Sì è vero, intorno a me sentivo nulla, ma se uno si fa prendere dai sentimenti è finita, cominci a pensare ai tuoi di figli, anche io ho un maschio e una femmina, a tua moglie che è a casa con loro e non vai avanti. Questo è il mio lavoro e non ammette emozioni, solo azioni, possibilmente giuste».
Fino al momento che vale una vita, mille notti insonni, cento turni saltati e un abbraccio indimenticabile: «Lei era sotto shock, ma presente. Quando ho infilato la testa in quel buco per togliere qualcosa che le bloccava le gambe le ho chiesto di provare a girarsi lentamente. Mi ha risposto che poteva farlo e solo allora capisci che tutto ciò ha un senso. Dopo, riguardando il video in tv, ho scoperto gli applausi, chi mi chiedeva di stenderla per terra, chi porgeva una coperta. Lo giuro, tutto ciò per me è come se non fosse esistito. Volevo solo portarla nell’unico posto dove doveva stare in quel momento: in braccio al suo papà».
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