Su RietiLife l’editoriale di Format di Novembre a firma di Stefania Santoprete.
Non riesco a comprenderlo questa sorta di sadomasochismo che ci fa denigrare tutto ciò che è ‘italiano’, quindi vado dritta al sodo: l’Expo mi è piaciuta. Anzi, mi sono rammaricata di dover partire dopo tre giorni intensi, sfiancanti, a ritmi incredibili (in coda per ore, sotto la pioggia) senza riuscire a vedere tutto ciò che ci sarebbe stato da vedere… e leggere. Sì perché se si arriva all’Expo con l’idea della sagra o del luna park si parte con il piede sbagliato, ma se ci si impegna un po’ nel cercare ciò che ognuno ha inteso rappresentare e a quale scopo, si dà un valore diverso ad ogni cosa. Eppure…
Si è iniziato remando contro, dicendo che non ce l’avremmo mai fatta e – addirittura – godendo nel sottolineare le mancanze dei primi giorni. Al contempo si ribadiva la gravità del mostrare al mondo la nostra ‘pocaggine’, dimenticando che il mondo aveva letto in tutte le lingue i diversi articoli italiani non propriamente promozionali nei confronti di un Paese che aveva accolto con grande entusiasmo l’assegnazione dopo più di 100 anni, e per il quale poteva comunque rappresentare una grande occasione.
Si è finito in questi giorni, sottolineando le incredibili code come un aspetto negativo e non la voglia per molti di esserci comunque (compresi i milanesi stessi che hanno costituito il carico forse maggiore nel rush finale).
Io ne sono tornata con una sensazione di appartenenza al Pianeta Terra, riflettendo su quella frase ripetuta più volte e vissuta quasi con disagio “Da noi non accade come in Italia dove l’acqua vi arriva dal Cielo” sentendomi in colpa nel rivedere i giorni e le ore passate a rammaricarci della pioggia, del brutto tempo, in maniera inconsapevole. 145 Paesi partecipanti e 53 padiglioni espositivi realizzati in maniera autonoma con materiale riciclabile (maggiormente legno) architetture bizzarre o affascinanti che penso meritassero già per questo la nostra curiosità, arricchita dai contenuti in linea col tema principale dell’Expo o con una visione rappresentativa della propria realtà.
E’ stato come vivere in simultanea popoli diversi seduti ad un tavolo in cui i problemi erano sempre gli stessi: il cibo, l’agricoltura, l’approvvigionamento delle risorse idriche e di quelle energetiche nel tentativo di trovare un equilibrio tra disponibilità e consumo delle risorse.
E’ stato come illudersi che in un Universo parallelo in tempo di Pace Mondiale quegli stessi uomini potessero realmente vivere a pochi metri di distanza uno dall’altro e dibattere sugli stessi temi, ognuno apportando le proprie conoscenze ed esperienze… gli otri per la pesca, frangiflutti, del Sultanato dell’Oman unitamente ai suoi teli acchiappa nebbia; il sistema acquaponico e gli altri tipi di terriccio naturale alternativo che richiedono meno acqua e concime; i pannelli acustici dell’Estonia realizzati con aghi di pino, lana di pecora e legno naturale; il baobab ‘retto’ dalle donne dell’Angola; il sistema idroponico del Qatar con panni di cellulosa all’interno delle serre; l’uso infinito e quasi salvifico del dattero e delle sue palme… Non usciranno soluzioni magiche dal cilindro dell’Expo, ma costringere in occasioni particolari l’Umanità ad interrogarsi e renderla consapevole delle disponibilità non infinite delle risorse non può che sensibilizzarla attraverso gli esempi positivi di comunità di agricoltori e industrie alimentarie e di progetti di cooperazione per lo sviluppo: non è più possibile che lo 0,01 della popolazione mondiale controlli le 500 maggiori multinazionali decidendone e tracciandone il futuro.
Quel cumulo gigantesco, quella sorta di collina formata da scarti quotidiani presente in una delle ultime sale del padiglione Zero è il pugno nello stomaco (ben pieno) che arriva al visitatore. Se anche dieci su cento tornando a casa avranno una nuova visione e consapevolezza muovendosi nel quotidiano, quella visita non può dirsi vana. Foto (archivio) RietiLife ©