(di Matteo Carrozzoni) È stata una domenica di grande freddo per il rugby italiano. Un freddo meteorico penetrato nelle ossa dei sempre tantissimi tifosi degli azzurri presenti allo stadio Olimpico di Roma ma soprattutto il gelo dello zero, rimasto fisso sul nostro tabellone del punteggio di questa terribile partita del Sei Nazioni 2015, persa contro la Francia per 29-0.
A distanza di 24 ore, riscaldato il corpo e raffreddata la mente, rimane un senso di sconcerto che rende difficile analizzare l’incontro semplicemente dagli errori tecnici che comunque ci sono stati ed anche disarmanti.
Un handling superficiale che ha comportato una serie di “in avanti” spesso imbarazzanti, una difficoltà nel trovare la touche, tra l’altro registrata anche discretamente, attraverso calci che, invece di portare il pallone al di là della linea laterale, hanno regalato una grande quantità di occasioni di contrattacco agli avversari, permettendo loro di trovare la chiave della partita superando, a differenza degli azzurri in livrea bianca, la linea del vantaggio di almeno cinque metri in ogni punto di incontro, nonostante la fisicità non fosse propriamente quella di una squadra isolana del Pacifico. Il tutto dopo un inizio che sembrava il preludio di una partita all’arrembaggio contro il peggior attacco del torneo, che invece ricorderemo come la difesa più solida incontrata.
Ma come si può arrivare a questo dopo solo una settimana da una partita magistrale, giocata con grinta, attenzione, umiltà e coralità e soprattutto dopo una settimana di preparazione definita perfetta, sia da Masi che da Ghiraldini, nelle interviste post gara?
Nessuno sembra avere la soluzione a questo interrogativo e tutti i giocatori sembrano ben consapevoli che non si possa cercare un alibi nel meteo, negli infortuni o nella cabala. Si può anche facilmente immaginare che gli stessi atleti nazionali non ne possano davvero più di sentirsi definire immaturi, eterni Peter Pan, incapaci di inanellare due vittorie consecutive, di qualsivoglia forma di continuità ed il continuo subire questo tipo di giudizi non fa che accrescere la pressione e la frustrazione, che notoriamente non fanno certo bene alle prestazioni. Nell’attesa che lo staff tecnico ed i vertici federali provino a capire se questi devastanti sbalzi prestazionali possano dipendere da un ambiente poco costruttivo o non propriamente motivante, si potrebbe prendere in considerazione uno di quei corsi motivazionali tanto in voga nelle aziende, che molto spesso vengono tenuti proprio da ex rugbisti in pensione e che sembrano avere molto successo tra i dipendenti aziendali.
Nell’attesa che l’arcano venga svelato e che si chiuda il torneo sabato prossimo a Roma contro il Galles, viene voglia di sdrammatizzare ripensando al tempo in cui si fece un gran parlare della possibilità di trovare un nuovo simbolo all’Italrugby. Le nostre avversarie del Sei Nazioni sono identificate da una rosa, un cardo, una giunchiglia ed un galletto, mentre l’Italia mostra un semplice scudetto tricolore fregiato d’alloro dorato. Non essendo stato trovato alcun simbolo valido il discorso venne accantonato ma oggi come oggi viene da pensare seriamente a cucire sulle maglie azzurre un bel gambero. Niente infatti attualmente ci caratterizza di più del povero animaletto che, come si suo, dire, fa un passo avanti e due indietro. Foto: Benedetta ZACCHERINI ©