Ecco l’editoriale del mese di febbraio di Format, a firma di Stefania Santoprete.
La donna per natura è più incline a sentirsi responsabile di ciò che accade. Sarà perché è da sempre divisa tra diversi ruoli e sente di non poter far fronte a tutti nello stesso modo o, semplicemente, perché ha sensibilità e capacità d’analisi analitiche. Sarà per questo che dopo i fatti francesi (che ritroverete in vari articoli in questo numero), è stato inevitabile interrogarci su dove avessimo sbagliato, seppure in molti dissentiranno da quanto dirò. Davanti a quei volti svelati o a quell’accento, un senso di smarrimento, di incredulità, di fallimento… alcuni di questi jihadisti sono nati e cresciuti nel nostro ventre occidentale, americani, britannici, francesi, tedeschi, spagnoli, italiani… immersi in quello credevamo essere il miglior liquido amniotico disponibile. Quanto abbiamo sbagliato in quello scardinare ciò che avevamo noi vissuto come imposizioni, rigida educazione, condizionamenti morali? Oggi me lo chiedo e non sono forse la sola a pormi questa domanda. Quanto è diventato enorme quel buco? Quanto abbiamo affondato le mani dentro le nostre radici tentando di estirpare tutto ciò che credevamo superfluo o di ostacolo alla libertà personale danneggiandole irrimediabilmente? Quanto è stato pericoloso aggiungere tutto quel bianco al nero e passare pennellate di grigio su ogni cosa rendendola sempre ritratta ‘a metà’? Quello che per noi era ‘mediazione’ è giunto come un messaggio di indecisione, di incapacità, di non convinzione, di fragilità… “I jihadisti sono convinti di essere dei perfetti musulmani. Il problema è che la religione – come la razza per i nazionalsocialisti o l’appartenenza al proletariato per i comunisti staliniani – è utilizzata da loro come strumento per dividere il mondo in buoni e cattivi: per i jihadisti, i buoni sono coloro che praticano la religione salafita rigorosa. Il miliziano che arriva da Londra dove faceva il medico e il miliziano che arriva da Tunisi per combattere in Siria e Iraq sono trascinati dalla tentazione totalitaria, dal piacere di sentire di essere dalla parte giusta del mondo. È un’avventura trascinante, emotivamente affascinante, il sapere di essere dalla parte giusta del mondo, di essere tra i puri”(Domenico Quirico inviato de “La Stampa”, a lungo ostaggio dei jihadisti). Di cosa avevano bisogno dunque questi nostri figli? Di riuscire a individuare con chiarezza la luce e le tenebre, il bianco e il nero, il bene e il male? Non sono emarginazione, follia, povertà a motivare i volontari, dobbiamo tentare di andare oltre. Sarà capitato anche a voi, credo, scoprire che ragazzi cresciuti in famiglie estremamente libertarie abbiano poi scelto strade maggiormente rigide quali la carriera militare, quella giuridica, quella ecclesiastica. In passato avvenne che molti partissero per partecipare a una guerra che ritenevano giusta ma l’interrogativo è: come è avvenuto che a motivare il sacrificio di tanta gioventù europea non sia più l’umanità, la patria, il socialismo, ma la religione? Dovremmo quindi ammettere che ciò di cui avevano bisogno era una guida autorevole e non modelli educativi aperti? Che quello squarcio senza un Dio, senza riti da rispettare o ricorrenze da onorare è stata via d’accesso al fondamentalismo? E gli altri, quelli giunti da noi, quelli che sedevano nei nostri banchi, colleghi di lavoro, in fila alle poste, fermi al semaforo, come ci vedevano? Come ci vedono? Questi uomini cresciuti in famiglie musulmane tradizionali e che si ritrovano poi in un Occidente con valori completamente diversi, cosa pensano? Cosa provano? Come appare loro questa donna così problematica, difficile nell’approccio, che rovescia tutti i modelli appresi? Quanto la nostra democrazia può generare in loro sentimenti di odio? Quanto il nostro illuminismo è lontano dalla loro fede? Sono queste le domande a cui dovremo tentare di dare risposta (approfondiremo l’argomento sul cartaceo, a pag. 14). Il processo di integrazione su cui abbiamo iniziato a ragionare, secondo alcuni, non è mai iniziato. Abbiamo accolto gente povera, venuta a fare lavori umili. Ma i loro figli hanno studiato, si sono laureati e rivendicano un posto alla pari con gli occidentali. E’ questa generazione che si vuole sollecitare, insieme alla nostra. La nostra da cosa vuole fuggire? Dal capitalismo, da una vita mediocre, dal lavoro che non c’è? La sfida viene lanciata in lingua occidentale, con i nostri stessi codici di comunicazione. Un’ enorme campagna pubblicitaria che si spalma sui social network e su YouTube con video girati ad alta definizione: “sembrano messaggi da cartolina delle vacanze più che attestati di partecipazione a una guerra religiosa che ha già provocato migliaia di morti. Uno di questi, proveniente da @truthsMaster residente a Roma, dice solo “supporto da Roma!!!”, con la foto del Colosseo e davanti un cartello scritto in arabo. Oggi, la guerra santa si combatte anche con lo smartphone.” (Stefania Santoprete) Foto: RietiLife ©