(di Sabrina Vecchi) Come obiettare al vecchio adagio che inneggia al teatro come elisir di longevità. Magnifica prova d’attore ieri sera al Flavio Vespasiano per “Il mercante di Venezia” di W. Shakespeare portato in scena in un nuovo allestimento riadattato ed interpretato da Giorgio Albertazzi. Uno spettacolo pieno, intenso e piacevole fin dalle prima battute che non ha mai smesso di incantare un pubblico così attento e partecipe da diventare quasi idealmente coprotagonista della vicenda. Essenziale eppur molto efficace la scenografia di Paolo Dore, un classico ponte veneziano che diventa simbolo dell’ambientazione territoriale e luogo d’incontro dei personaggi, che lo attraversano, lo vivono e lo percorrono senza sosta in un coinvolgente andirivieni. Una soluzione scenica che tuttavia non avrebbe reso appieno nel suo intento senza il suggestivo gioco di luci basato su tonalità quasi espressioniste, dall’arancio intenso al blu elettrico a sottolineare ogni cambio di registro del dramma. E poi lanterne, maschere, fruscii d’acqua e gli splendidi costumi di Daniele Gelsi, perfettamente calati nel periodo storico della Venezia del 1500 ma mai ridondanti a stonare con la semplicità della scenografia. Un cast senz’altro affiatato visto l’ormai lungo corso dello spettacolo, composto in prevalenza da giovani talentuosi attori, oltre ai quali discorso a parte va fatto per Franco Castellano, noto al grande pubblico come interprete di fiction televisive. Castellano interpreta il mercante Antonio riuscendo ad esprimere a tutto tondo l’intensità ed i contrasti interiori che lo contraddistinguono, pur servendosi di una gestualità minima che rende la sua recitazione enigmatica e molto studiata nel dettaglio. Una storia in bilico tra commedia e tragedia, che il regista Giancarlo Marinelli mette in scena sulla base di un riadattamento che lima, aggiusta, aggiunge, condisce, taglia, fino ad ottenere un mix equilibrato tra pathos e guizzo. Molto spiritosa la prova di Cristina Chinaglia, interprete di Job, personaggio androgino a metà strada tra servo e giullare con marcato accento veneziano, che strappa quasi tutte le risate al pubblico e riscuote consensi personali a fine spettacolo. E poi, lo Shylock di Albertazzi: elegante, austero, mai eccessivo, il grande attore si cala con grandissima disinvoltura nei panni del perfido usuraio ebreo perché sente nelle sue corde il personaggio, lo considera controverso e sfaccettato ed ama follemente interpretarlo. Ne vien fuori una grande prova recitativa, quasi una lezione, lo Shylock-Albertazzi si aggira sul palcoscenico con grande padronanza di sé, senza incertezze, consapevole della propria forza e delle proprie capacità, a tratti con qualche uscita comica a rompere il filo della drammaticità degli eventi spiazzando un tantino lo spettatore. Shylock detesta chiunque non sia se stesso ed il proprio denaro, si comporta con sufficienza ed agisce a testa semi china, come se solo il confronto visivo con lo sguardo dell’interlocutore lo disturbasse. Ma a fine spettacolo il duo personaggio-interprete che sembrava fusionale improvvisamente si scinde ed il maestro raccoglie l’enorme consenso del suo pubblico e la pioggia di applausi con un sorriso radioso ed aperto. Del perfido Shylock a quel punto, rimangono solo le vesti di broccato. GUARDA IL VIDEO DI RIETILIFE TV. Foto: RENZI ©