Nuovo appuntamento con la rubrica di Don Fabrizio Borello. Il referendum per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, che per alcuni giorni ha monopolizzato i nostri giornali e telegiornali e che ha visto la vittoria del “no” all’indipendenza rispetto al “si” è senza dubbio il segnale di qualcosa che travalica i confini geografici e che coinvolge una parte significativa del nostro mondo. È sicuramente un momento storico in cui le spinte indipendentiste stanno recuperando una certa forza in molte regioni europee come la Spagna, la Germania e, in parte, anche in Italia. Anche la nostra piccola provincia, scimmiottando realtà molto più significative, ha avuto il suo tentativo di “indipendenza”. A parte il risibile (per non dire ridicolo) tentativo locale, si tratta di un fenomeno preoccupante e non moderno. Ogni fase discendente da un punto di vista politico e sociale ha provocato il riacutizzarsi di spinte di divisione. Basti pensare a ciò che è successo dopo la fase aurea dell’impero romano, quando in poche decine d’anni la parte occidentale dell’impero si è frantumata in un arcipelago di realtà autonome e spesso in conflitto tra loro. Se tanto mi da tanto allora vuol dire che stiamo attraversando anche ora il declino di un’era. I segnali ci sono tutti: crisi economica, mancanza di punti di riferimento, scoraggiamento generale, paura e diffidenza verso chi è diverso, rifiuto e paura verso chi viene da lontano, pessimismo imperante, ripiegamento in se stessi. È evidente che le spinte “indipendentiste” non sono altro che la traduzione in larga scala di questo ripiegamento in se stessi. Come europeo, come cristiano e come sacerdote mi viene pertanto da fare una riflessione: tutto questo avviene in un mondo e in una tradizione culturale infarcita di cristianesimo… ma cosa c’è di cristiano in tutto questo? Probabilmente il vero problema è che nel corso dei secoli abbiamo decisamente imborghesito e indebolito il messaggio evangelico. Il messaggio evangelico infatti è tutto il contrario del ripiegamento in se stessi e dell’”indipendentismo”. Gesù con la sua vita e la sua parola ha insegnato ad accogliere, a condividere, a cercare l’altro piuttosto che evitarlo, ad aprire le porte piuttosto che chiuderle, a superare i confini piuttosto che innalzare muri di divisione. Pertanto parlare delle cosiddette “radici cristiane dell’Europa” non deve essere un fatto ideologico ma ricordare a noi stessi che siamo radicati su un modello di uomo (quello incarnato e vissuto da Gesù) che non è egoista, chiuso in se stesso e ego centrato, ma tutto il contrario, un modello di uomo in cui può riconoscersi il credente e il non credente, chiunque sia dotato di un cervello e di un cuore normalmente funzionanti. Torno su questo argomento a distanza di poco tempo perché credo fermamente che, assecondando o banalizzando questi segnali, stiamo percorrendo una strada molto pericolosa, come purtroppo la storia ci insegna. (Don Fabrizio) Foto: RietiLife ©