Ecco l’editoriale dei mesi di Luglio e Agosto di Format, a firma di Maurizio Festuccia.
Giorni fa, a Campobasso, il Papa ha lanciato un appello chiaro, fermo, rivolto anche a tanti esponenti della Chiesa, in merito alla domenica libera dal lavoro verrà mai ascoltato? “Lavorare la domenica non è vera libertà”. ha detto il Santo Padre nel suo discorso all’Università del Molise incontrando il mondo del lavoro e dell’industria. “Forse è giunto il momento di domandarci se quella di lavorare alla domenica è una vera libertà”, ha aggiunto. La questione della domenica lavorativa, ha detto il Papa, “non interessa solo i credenti, ma interessa tutti, come scelta etica”. “La domanda è: a che cosa vogliamo dare priorità? La domenica libera dal lavoro – eccettuati i servizi necessari – sta ad affermare che la priorità non è all’economico, ma all’umano, al gratuito, alle relazioni non commerciali ma familiari, amicali, per i credenti alla relazione con Dio e con la comunità” – ha proseguito – “Si tratta di conciliare i tempi del lavoro con i tempi della famiglia”, ha continuato, definendo questo un punto “critico”, che “ci permette di discernere, di valutare la qualità umana del sistema economico in cui ci troviamo”.
Parole sante, aggiungerei, non perché dette e ribadite dall’esponente più alto della Chiesa ma perché in Francesco tutti riconosciamo prima l’uomo e poi il Papa e se una persona di così alti valori spirituali ed umani afferma e diffonde un concetto di una semplicità così evidente, senza per forza ricorrere ai dettami della cristianità, il significato assume un valore decisamente più pregnante con l’attuale momento che stiamo vivendo. Ormai da anni ci stiamo logorando fisico e menti per cercare di sbarcare il lunario e, spessissimo, non si bada più a difendere e far rispettare il proprio diritto al riposo settimanale, alla pausa con il lavoro, quello che dovrebbe garantirci il… pane quotidiano (visto che per il superfluo si comincia a fare a meno…). Ci si dimentica tutto ciò per cui vale realmente vivere ovvero la famiglia su tutto, gli amici più stretti, la comunità in cui siamo inseriti, il prossimo per farla breve. E allora è inevitabile ci si imbrutisca, si provi maggiormente un senso di vuoto e di inutilità, laddove la depressione trova terreno fertile e varchi inimmaginabili nella psiche di ognuno. Lavorare di domenica è diventata ormai un’esigenza di vitale importanza ma distoglie ed allontana drasticamente dal relazionarsi con gli altri e, ancor peggio, con se stessi. Sdraiarsi su un prato o sulla sabbia, in quella pausa settimanale, o più semplicemente farsi un giro in bici o una passeggiata sull’argine, a volte rischia di creare un senso di colpa acquisito nel tempo, e quindi un malumore diffuso, a cui quasi sempre non sappiamo ricondurre a nulla ed invece è proprio lì il vero cancro, la morte interiore che avanza, il senso di impotenza e di perdita di tempo che ci invade. Non sarà per tutti così, e me lo auguro sinceramente, ma l’affannosa rincorsa all’ultimo centesimo, di questi tempi genera stati d’animo sempre più inquieti ed angoscianti.
E allora ben venga la voglia di riscoprire e riunire una comunità sparpagliata qua e là negli anfratti della società, così come avvenuto giorni fa con un gruppo di ex ragazzi di Sant’Anatolia che hanno voluto rivivere un giorno-tipo della propria avventura di trent’anni or sono, ritrovandosi a giocare, pregare, mangiare, suonare e cantare come allora. E allora ben vengano i revival di gloriose sfide calcistiche degli anni ’70 (vedi “Album di Famiglia” – pag. 46) dove più che una finale Mundial poteva sembrare una sfida scapoli e ammogliati senza velleità e senza remore.
E allora ben venga l’impulso di mollare tutto, almeno di domenica, e chiudere il rubinetto dei doveri. Ne abbiamo solo uno, il più importante da difendere coi denti, quello del profondo rispetto per se stessi e per quel magnifico nucleo familiare che siamo riusciti a creare nel tempo, ad onta di ogni F24, mutuo, bolletta, scadenza, ricarica, badge da timbrare o cartellino da timbrare. Quantomeno per non rimpiangere mai di essersi lasciati alle spalle giorni, ore, minuti vuoti, insulsi, nemmeno più da riciclare. Giorgio Faletti ci ha lasciato con una frase che dovrebbe farci riflettere ogni giorno:“L’importante non è quello che trovi alla fine di una corsa. L’importante è quello che provi mentre corri“. (Maurizio Festuccia) Foto: FORMAT ©