Questa settimana la rubrica DonnaLife si occupa della discriminazione nei confronti delle donne, anche alla luce di quanto accaduto alla Camera e sui social network nei confronti della presidente Boldrini e delle deputate Pd.
(di Valentina Fabri) Da sempre i mezzi di comunicazione sono il mezzo attraverso il quale informare, mobilitare, sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo i temi sociali più delicati. Agli anni ’90 va riconosciuto il merito di aver sdoganato numerosi tabù dell’epoca: il celebre spot la cui frase “di chi è questo?”, urlata da un professore di liceo ai suoi allievi mostrando un preservativo, è rimasto nella storia della tv per essere stata forse la prima, vera provocazione, volta a sdoganare un argomento, quello della gravità delle malattie sessualmente trasmissibili, di cui fino a quel momento si ignorava la reale gravità. È al 21° secolo che è toccato il compito di ampliare la portata dell’informazione, creando una sorta di interazione tra attori e spettatori, tra coloro che creano pubblicità e coloro ai quali è rivolta. L’intento con cui ora si affrontano temi sociali non è più quello di informare e istruire una platea ignara, ma quello di educare una conoscenza distorta e portatrice di pregiudizi.
“Punto su di te”, questo il nome della campagna che porta la firma di Pubblicità Progresso, fondazione che ha realizzato negli ultimi 40 anni molte campagne sociali, diventando un riferimento importante nella cultura italiana. Lo spot, nobile negli intenti ed originale nelle modalità attraverso cui tocca tematiche molto delicate, come la discriminazione e il pregiudizio nei confronti delle donne, rappresenta una sorta di esperimento: nessun set, niente attori, nessun copione, ma solo città italiane, telecamere nascoste e gente comune. Lo spot inizia con un interrogativo (“In Italia esistono ancora i pregiudizi sulle donne?”) a cui le immagini che seguono danno risposte senz’altro esaustive. Decine di manifesti vengono affissi alle fermate degli autobus: manifesti nei quali sono raffigurate alcune donne con un fumetto contenente una frase incompleta: “Al lavoro vorrei…”; “Dopo gli studi mi piacerebbe…”; “Quando torno a casa vorrei…”; I manifesti restano affissi per circa due settimane, durante le quali vengono ripresi i passanti che vi si imbattono. L’epilogo è sempre lo stesso: dopo qualche giorno dall’affissione, le frasi sono state completate da ignoti con parole discriminatorie. Le affissioni vandalizzate mettono in luce uno degli intenti della campagna: rendere visibile la discriminazione, ricordare che è necessario cambiare atteggiamento, sottolineare l’urgenza di tale cambiamento.
Molto spesso, quando si parla di pregiudizi nei confronti delle donne, si tende a minimizzare questo fenomeno riducendolo quasi ad un atto di vittimismo da parte delle dirette interessate, che non vedono riconosciute le proprie ragioni perché considerate infondate, o peggio ancora inesistenti. L’intento che questa campagna si prefigge è proprio questo: impedire che ancora una volta, per l’ennesima volta, si cerchi di eludere un problema che c’è e non conosce limiti: che ci si trovi ad una fermata dell’autobus, per strada o in un’aula parlamentare poco importa. La discriminazione nei confronti delle donne esiste e sono gli stessi responsabili a mostrarcelo. Foto: RietiLife ©