Riceviamo e pubblichiamo il comunicato di Rieti Virtuosa sulla bonifica delle ex aree industriali, Snia e Montedison: un lungo report che fa il punto sulla situazione e rilancia la battaglia del movimento civico.
«Non c’è elemento di questa città in grado di incarnare l’immobilismo istituzionale meglio di quanto facciano gli scheletri di cemento che troneggiano nelle aree industriali dismesse di SNIA e Montedison. Da una qualunque vista aerea della zona disponibile su web, un occhio attento riesce a distinguere il progressivo deteriorarsi di strutture ed impianti, l’incompiutezza di opere di messa in sicurezza, i segni delle trincee di esplorazione nel terreno e le chiazze prive di erba dove risultano depositate le ceneri di pirite (il famoso ‘oro di Bologna’ che veniva arrostito per estrarne l’acido solforico che la SNIA utilizzava poi per la produzione del filato). Apparentemente, non c’è nulla di misterioso o ultraterreno nella gestione dei procedimenti di bonifica che affollano la scrivania dei funzionari e dirigenti degli uffici pubblici. Peraltro, sul sito internet della Regione Lazio esiste addirittura una anagrafe dei siti contaminati, in cui, a livello provinciale, tutta la zona di ‘Viale Maraini snc’ fa bella mostra di sé. Nei pochi articoli di legge che trattano la bonifica dei siti contaminati (Parte IV, Titolo V del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i.) è scritto il copione per il risanamento delle aree: misure di emergenza (eterne per la contaminazione ‘storica’, delle aree ex industriali reatine), indagini per la caratterizzazione, analisi di rischio per valutare l’impatto della contaminazione riscontrata sugli esseri umani e sulle acque sotterranee. Questo il procedimento propedeutico all’avvio alle operazioni di bonifica e ripristino ambientale che dovrebbe durare al massimo un anno e due mesi. Tristemente, la presunta linearità dell’iter descritto si è trasformata, almeno per i procedimenti di bonifica di ex SNIA ed ex Montedison, in un groviglio senza uscita. Cosa c’è, realmente, alla base dell’impantanamento amministrativo dei due procedimenti di bonifica? Immaginiamo una pièce teatrale in cui figurano tre attori: il Comune, che per legge nazionale – e poi regionale – è l’autorità procedente nel campo delle bonifiche, i proprietari incolpevoli della contaminazione ed i responsabili della contaminazione che ora non risultano più proprietari delle aree. La legge consente ai proprietari incolpevoli, laddove sia manifesta la loro volontà di sostituirsi ai soggetti responsabili della contaminazione, di poter procedere alle azioni di bonifica e ripristino delle aree, ferma restando la necessità di accertare, da parte dell’autorità giudiziaria, le responsabilità penali di chi ha causato danno all’ambiente. Ma se poi sono i proprietari incolpevoli delle aree da bonificare, pur nelle loro ‘buone’ intenzioni – di cui sappiamo le strada che porta all’Inferno è ampiamente lastricata – a non intraprendere alcuna azione migliorativa dello stato di contaminazione e, con la loro inerzia, a causare il peggioramento della qualità ambientale di terreno ed acque di falda? In questo caso, diventano essi stessi responsabili della mancata bonifica, e per legge l’omessa bonifica è un reato. A questo punto la legge prevede che il Comune debba portare avanti d’ufficio gli interventi di bonifica, rivalendosi direttamente sui proprietari che rispondono per una somma pari al valore del bene in oggetto (terreni, fabbricati, etc) che quindi da privato diventerebbe pubblico. Questa la teoria. Nella pratica, i proprietari che volontariamente hanno deciso di bonificare fino ad ora hanno agito con estrema lentezza, o non hanno agito affatto, ed emerge così che il Comune non ha saputo tenere mano ferma nel far rispettare i tempi di legge per la realizzazione della bonifica; vuoi per eccessiva fiducia nella parola dei privati, vuoi per il succedersi, col passare degli anni, di sempre diversi dirigenti nei vari uffici. Né il Comune può invocare a sua discolpa l’incertezza sulle sorti di legittimità dei Piani Integrati, perché su un terreno contaminato esiste, e permane fino ad avvenuta bonifica, un vincolo di inedificabilità in senso lato, e qualunque attività edificatoria che si prevede di realizzare, sia nell’immediato che in futuro, dovrà essere comunque subordinata alla conclusione del procedimento di bonifica. Con rammarico constatiamo come non si sia capaci, o non si voglia replicare, quanto fatto altrove da buoni amministratori che, semplicemente chiamando a raccolta progettisti attraverso concorsi di idee, hanno saputo riconvertire sedi industriali dismesse ed aree degradate in realtà urbane fruibili alla collettività ed hanno scelto di non svendere l’uso del suolo a pochi privati per garantire presunto impulso vitale all’edilizia. Così, auspichiamo che l’Assessore Ubertini volga parte della sua attenzione sul cortocircuito tecnico ed amministrativo che blocca le bonifiche, assecondando le speranze dei cittadini che nel frattempo si chiedono perché i cancelli delle fabbriche siano ancora chiusi. Chiusi sul passato, poiché non v’è più industria, manifattura, creazione di materie e di beni; ma anche chiusi sul futuro, perché il futuro passa dal risanamento dell’ambiente. Per agire concretamente si può scaricare e far firmare la Delibera di iniziativa popolare». Foto (archivio): RietiLife ©