A causa dell’agitazione sindacale ad oltranza delle maestranze del Teatro di Roma, di cui Gabriele Lavia è direttore, non potrà essere garantito il montaggio dello spettacolo di prosa “La Trappola”, che doveva andare in scena stasera al Teatro Flavio Vespasiano. Ma Gabriele Lavia, per non creare disagi e onorare la piazza di Rieti, si è reso disponibile a recitare ugualmente al Flavio esibendosi in un testo di altissimo livello, il monologo “Il sogno di un uomo ridicolo” di Fedor Dostoevskij. Appuntamento stasera alle 21.
LA SCHEDA DELLO SPETTACOLO
Il sogno e la realtà, la vita e la morte, l’inganno e la verità, prendono forma e coscienzanella mente del protagonista che racconta la paura di sentirsi ridicolo ed indifferente a tutto, continuamente deriso dai suoi simili e vittima del dolore, della solitudine, dell’infelicità di cui è prigioniero, fino a quando il sogno gli aprirà la strada verso la verità e verso una nuova speranza di vita in comunione con gli altri. «Chi è ‘l’uomo ridicolo’? – racconta Gabriele Lavia – E’ un uomo del ‘sottosuolo’, cioè di quell’inferno sulla terra abitato da dannati che vivono in cupa solitudine, indifferenza, livore, odio nei confronti degli altri. Essi si sottomettono alle pene di questo inferno, come per una fatalità crudele e misteriosa e, a un tempo, conservano gelosamente un lucido senso della colpa che li condanna a vivere un’esperienza carica di esaltazione frenetica e sofferente. E allora perché ‘ridicolo’? Perché, a differenza degli altri dannati, quest’uomo ha scoperto il segreto della bellezza e della felicità, il segreto per ‘rimettere tutto a posto’. ‘Ama gli altri come te stesso’ ‘vecchia verità che non ha mai attecchito’. Nell’assurda proposta d’amore per il prossimo si trova tutta la sua ‘ridicolaggine’. Ma, attenzione, quest’uomo ridicolo è consapevole dell’impossibilità di riuscita del suo progetto, eppure nel raccontare, nel ‘predicare’ la ‘vecchia verità’ trova il senso più profondo e l’unico scopo possibile della vita: mostrare la via di salvezza agli uomini pur sapendo che non vi è possibilità di riuscita e di vittoria.[…] Il sogno di un uomo ridicolo è forse la più sconcertante opera di Dostoevskij. Nella situazione paradossale di un uomo che, decidendo di suicidarsi, si addormenta davanti alla rivoltella e ‘sogna’ il suicidio e la vita dopo la morte, lo scrittore, con una partecipazione sconvolgente e appassionata ci racconta come l’umanità si sia rovinata per sempre. E la coscienza che l’uomo non può vivere senza individualità significa che la condizione umana è senza via d’uscita.[…] Quello che posso dire è solo la parte superficiale, visibile, della messa-in-scena di un racconto non scritto per il teatro. Essa si fonda tutta sull’idea del ‘doppio’ e della moltiplicazione dell’Io. Il mio desiderio è quello di rappresentare una umanità che si è condannata alla sofferenza, auto-reclusa, serrata e costretta in una metaforica camicia di forza, vista come condizione e impedimento di ogni azione ‘buona’. Non c’è altra possibilità che raccontare, raccontare e ancora raccontare un pensiero allucinato e impotente.»
Foto: Itzel COSENTINO/Agenzia PRIMO PIANO © 26 Marzo 2013